Speravamo di respirare un pò di aria fresca e salutare, quella che sempre dovrebbe emanare il Parco Nazionale del Vesuvio: le correnti del Nord avevano cancellato il pulviscolo regalando alla montagna degli splendidi colori accesi tra i quali spiccava il giallo delle ginestre. Fotografi da ogni accorrevano a immortalare lo spettacolo, bello come le lavande della Provenza. Ma il sogno è durato poco: la mano criminale è tornata in azione. Quella mano criminale che distrugge ogni speranza, che ti riporta con i piedi per terra, che ti ricorda che la realtà in cui vivi è dominata da una manica di fetenti che considera le esistenze degli altri inutili quanto la propria. Terzigno e tutta l'area vesuviana, alle ore 20 di un lunedì di Luglio, ripiombano nell'incubo, in un baratro senza speranza, nella terra dei fuochi che non fa più notizia. Una cappa di veleni si deposita sulle case, sui terreni, sulle persone, con il suo carico di particelle venefiche che attraversano i tessuti arrivando al sangue. E' scienza, non supposizione. Un'aria appestata dagli incendi di materiali tossici si leva dalla pineta e dalle strade a ridosso di Cava Ranieri: il fumo si unisce a quello ancora più angosciante proveniente da chissà dove che colora già di nero Poggiomarino, Scafati e Pompei estendendosi fino al mare. Mentre osservo questo schifo, nel karaoke di un vicino ristorante cantano "parole, parole, parole". Parole, già: ci hanno abbuffato di quelle. C'è ancora speranza in questa terra dei fuochi? Ci hanno fatto perdere le voglia di protestare, e nella rassegnazione prospera la delinquenza. Forse un piano di emergenza nazionale o regionale andrebbe già attuato per evacuarci dalla terra dei fuochi, che molti più danni sta provocando delle eruzioni. Altro che censimenti e studi epidemiologici: bastano le foto a documentare la quotidianità. A negare l'evidenza, a negare l'attacco chimico sostenendo che muoriamo per le troppe sfogliatelle e per i babà ci vuole una grande faccia tosta.
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