Luigi Fontanella, ordinario di Lingua e Letteratura Italiana presso la State University di New York, ritorna, invincibile e indisturbato, ad issare la sua penna sul panorama mondiale della letteratura. Poeta, saggista, narratore e traduttore: nel suo ultimo lavoro, in via di stampa, “Il Dio di New York”, che assume tutte le movenze di un romanzo storico, racconta la storia di Pasquale D’Angelo, sedicenne di origini abruzzesi, fuggito dall’Italia per cercare fortuna nella New York del 1910. Pasquale, divenuto ben presto “Pascal” tra i suoi compagni, affronterà la durissima esperienza della manovalanza; tuttavia la sua indole lo porterà altrove, a sognare un mondo diverso: fatto di poesia, della scoperta di un lingua nova, di una missione letteraria da portare a termine. Di seguito la recensione di Salvatore Violante, scritta il 30 novembre del 2016: A pagina 138 degli Improvvisi di Sebastiano Vassalli curato da Roberto Cicala per la Fondazione del Corriere della sera, il 112°, dal titolo Nella luce di New York, recita: -Un poeta italiano che volle essere americano. È Pascal (Pasquale) D’Angelo, nato nel 1894 a Introdacqua sotto la Maiella («La montagna issata a preghiera con le sue vette indagatrici»), emigrato negli Stati uniti nel 1910, morto a New York nel 1932 (lo stesso anno in cui morì Dino Campana) dopo una vita di fatiche e stenti. Una manciata di poesie di Pascal D’Angelo sono state raccolte, a cura di Luigi Fontanella, in un libriccino intitolato Canti di Luce (ed. Il Grappolo, Mercato S. Severino, Salerno): e hanno l’impronta, inconfondibile, della vera poesia-. Fin qui Vassalli. A pag. 2 del romanzo di Luigi Fontanella, Il dio di New York in via di stampa per Passigli editore, troviamo citata la circostanza: è lo stesso autore ad indicarla confessando anche di essersi ispirato a La notte della cometa da cui ha preso in prestito la struttura. Vassalli va a Marradi a cercare le orme del suo babbo matto, Dino Campana, e di Sibilla Aleramo; Fontanella s’inventa un antenato per portarsi in un piccolo paese dell’Abruzzo Introdacqua sulle tracce di Pasquale D’Angelo. Entrambi gli scrittori si inventano un viaggio in cerca di se stessi e del loro modello di poesia. Non a caso Fontanella nella dedica a pag. 3 scrive: a Sebastiano Vassalli, who knew how…e alle chimere dei veri grandi sognatori. Abbiamo detto con Fontanella, che il romanzo è strutturato sulla falsariga de La notte della cometa, che, sia Vassalli che Fontanella vanno in cerca delle chimere dei veri grandi sognatori, ma bisogna aggiungere che la parentela fra i due romanzi si ferma qui. I due autori, pur affascinati sempre e comunque dal poetico, lo cercano e lo intendono in maniera assai diversa. In Vassalli c’è una quasi convinta impossibilità per l’uomo moderno di imprigionarlo nelle parole. C’è bisogno dell’unicorno. A pag. 9 del suo romanzo Vassalli osserva: -Ma forse è proprio vero che i poeti appartengono ad una specie diversa, «primitiva», «barbara», da sempre estinta, eppure sempre in grado di rinascere come quella dell’araba fenice. I poeti autentici, dico: non i letterati o gli scrittori di poesie, ma proprio quelli per mezzo dei quali la poesia parla. Gli unicorni, i mostri-. Talvolta il miracolo avviene ma in condizioni precarie e particolari grazie ad una permeabilità della “storia” individuale con le necessità della “Storia” universale. Nel romanzo di Fontanella, Pascal arriva alla poesia da sacerdote e faber. Nel Dio di New York così scrive: -Suo figlio (Pascal n.d.r.) invece, resta a New York. È ormai fermamente intenzionato ad abbandonare il suo lavoro di pick and showel man (manovale con piccone e badile) e a intraprendere la carriera di scrittore, malgrado le obiettive quanto feroci difficoltà che dovrà affrontare. Un’esperienza che, per un povero contadinello italiano, emigrato in America un secolo fa, ha dell’eroico o del sublime-. La concezione di Vassalli è fondamentalmente pessimistica. Quella di Fontanella è un inno alla poesia ed alla possibilità di conquistarla con l’applicazione, il sacrificio e la volontà. Ma anche il tuffo nelle storie è diverso fra i due: in Vassalli il viaggio nelle storie è gnoseologia, un modo di ritrovare un presente visto da lontano; in Fontanella è un paradiso sommerso, un mondo ripulito dal sogno che riemerge con la memoria. Tutto il romanzo di Fontanella si dota di una lingua gradevolissima, piena di colori e annotazioni. Ha la severità di ricerca tipica del saggio letterario, ma, specialmente dalla seconda parte in poi, si scioglie per ritmo ed immagini nel puro racconto, sovrapponendo fatti e circostanze proprio come fa l’aggeggio che visualizza le diapositive. Si dota di una lingua finissima, di immediata leggibilità ma su più livelli. La prima parte dà casa alla favola ricca di spunti e note. Le parole si snodano con ricercatissima semplicità: funziona per il letterato ma anche per il buon padre di famiglia. “Il Dio di New York” è il romanzo di Pasquale D’Angelo che emigrato dall’Abruzzo in America si sente iniziato alla poesia e così diventa Pascal D’Angelo. Attraversa infinite tribolazioni e miserie, angherie e mortificazioni, matura una volontà ferrea, quella di approdare, da poco più che analfabeta, ad essere uno scrittore ammirato in America. Bussa ad infinite porte sempre rifiutato; ma come spesso succede nella vita degli uomini, quando tutto sembra perdersi in una notte buia e tenebrosa si apre una finestra. Così dal romanzo: - Passa quasi tutto il tempo a letto, dormendo o sonnecchiando, finché una mattina viene scosso da un continuo, brutale battito alla porta, (…) Fuori c’è Gordon che lo squadra imbestialito ma anche con aria perplessa. Schifato, gli consegna una lettera, special delivery. (…) sbircia sulla busta l’intestazione del quotidiano The Nation.-(…) Le vicende raccontate dal romanzo di Pascal, in fondo, sono metafora calzante: la ricerca affannosa e disperata di sé e della poesia e la sua improvvisa agnizione, dal varco di servizio, in circostanze impreviste.

(recensione di Salvatore Violante)

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E’ una strana ricorrenza: aspettare l’estate con un fuoco acceso. Se non fosse altro che metafora di luce, piuttosto che di calore. Come segnale di fuoco, come segnale di vita. Da un’isola. Sperduta nel mare, in mezzo a tante isole. La lasciamo navigare, ci lasciamo navigare. Se non fosse altro che le isole siamo noi. E ascoltiamo con tutti i sensi la poesia che, già alla prima scintilla, divampa. E’ una fresca domenica sera qualunque, primo giorno d’estate, come da rituale. Cosa unisce tante persone a ritrovarsi in un unico posto? In un cerchio unito e denso, tanto vicine nei pensieri da poterli vedere tutti in fila, i loro pensieri: e brillare negli occhi, attraverso le mani, sulla voce che cammina. Tante isole in una sola isola. Dicono che sia “la passione per le parole”, ma ancor più forte è l’amore a condurle. Lo stesso che unisce le persone in matrimonio e stringe i patti d’amicizia e sveglia in un lampo al mattino con la forza di rendere un qualcosa al mondo.

 

Salvatore Violante ha teso i fili: e tutti, fidandosi, lo hanno seguito. Insieme a lui, Giuseppe Vetromile ha fermato i momenti: l’indiscusso sorriso dei presenti è apparsa la fotografia più bella da conservare nella mente, l’accoglienza più calda. La musica, fedele compagna, ha fatto vibrare ancor di più le parole che uscivano dalla bocca dei poeti e si fermavano sulla pelle, creando brividi: il sassofono di Francesco Cirillo e il piano di Stefano Bottiglieri. Puntuale, alle 21, come in tutti i luoghi in cui è avvenuta la stessa manifestazione poetica, l’inconfondibile voce di Mario Grazio Balzano ha recitato la poesia simbolo di quest’anno: Vent’anni, della poetessa rumena Carmen Bugan, emigrata negli Stati Uniti nel 1989. La straziante malinconia dell’addio in una condizione perpetuamente attuale. Il dramma di chi, partendo, non lascia soltanto vie conosciute e volti cari, ma una parte di sé, dietro di sé, che non tornerà più. Con la stessa violenza che il tempo impone a chi abbia da ristabilirsi dopo un lutto. Partire, senza altre vie d’uscita, è come uno strappo.

 

Prima donna della serata è stata, senza dubbio, Wanda Marasco, autrice de “Il genio dell’abbandono”, libro arrivato tra i quindici finalisti per il Premio Strega e che racconta la vita del più grande scultore italiano attivo tra Ottocento e Novecento, Vincenzo Gemito. La scrittrice ne ha letto alcune pagine, mostrando di sé mille sfumature: autrice di un capolavoro, narratrice della sua storia, regista dei suoi movimenti, attrice della sua ispirazione. Il pubblico è rimasto in silenzio, attento. Si è stati come a teatro, in un’atmosfera forte e penetrante, allo stesso modo. Non servono, talvolta, quinte, copioni, costumi, regia. Occorre talento. E il talento appare soprattutto nel modo in cui ci si avvicina e si arriva alle persone, nel modo in cui le si guarda. E Wanda Marasco ha potuto godere anche di questo invisibile, importantissimo titolo: il talento di saper guardare con dolcezza le persone intorno. Marilena Gragnaniello, accompagnata dai Cantapopolo, danzava intorno al rito del fuoco acceso, creando un momento suggestivo. Il professore, saggista e poeta, Raffaele Urraro, ha letto alcuni passi del suo lavoro su Leopardi: “Giacomo Leopardi. Le donne, gli amori”, una ricerca sull’universo femminile presente all’interno delle opere del poeta ottocentesco. Mentre la luce fuggiva e calava il buio, le voci dei poeti continuavano ad alternarsi, simili a moti dell’anima, rinascenti emozioni: Giovanni Balzano, Annibale Rainone, Anna Rachele Ranieri, Clara Chiariello, Prisco De Vivo, Carlo Di Legge, Lina Sanniti, Mario Apuzzo e gli stessi Salvatore Violante e Giuseppe Vetromile, organizzatori dell’evento.

 

A vederli dall’esterno, non li capiresti, i poeti: diresti che sono diversi, diresti che sono uguali. Diresti persino che non vi appartieni, diresti che un po’ ti spaventa avvicinarti a loro, ai loro pensieri così trasparenti, così nascosti. E allora cerchi a tutti i costi le parole, le metti insieme. Un pensiero ricorrente, un malumore, un sentimento nuovo. Le getti sul foglio e allora pensi: “poesia”. I poeti son poesia, e in essa c’è tutto il mondo, il tangibile e il non, non vi è altra definizione più vicina alla loro vita.

 

Il silenzio dell’attenzione viva negli occhi di tutti si è sciolto in commozione con una poesia del poeta Salvatore di Giacomo, recitata con ineguagliabile coinvolgimento emotivo da Mario Grazio, prima voce narrante del territorio vesuviano. In chiusura della serata, “la consapevolezza di riconoscere quale sia la fortuna” sono state le ultime parole di Salvatore Violante: la fortuna era essere lì tutti insieme e non chiedere di più.

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Ognuno di noi il 23 aprile avrebbe dovuto prendere un libro e, se non leggerlo, almeno sentirlo tra le mani. Anche chi non legge mai, anche chi legge sempre. Una ricorrenza è bella da ammirare. Il sapore del panettone a Natale e dei baci a San Valentino, il profumo delle mimose nella festa della donna e quello dei fiori di pesco a primavera. Ci sono giorni creati apposta per ricordarci qualcosa: non si può lasciare che, come volti anonimi, scivolino via.  La giornata mondiale del libro ricorre ogni anno il 23 aprile dal 1996, su istituzione dell’UNESCO, con lo scopo di promuovere la divulgazione del materiale librario e della cultura in generale. La proposta giunse dalla Spagna, sulla base di una tradizione antica ricorrente in ambiente catalano. Fu scelto questo giorno poiché nello stesso, nel 1616, morirono tre grandi scrittori: Miguel de Cervantes, William Shakespeare e Inca Garcilaso de la Vega. I librai spagnoli, in occasione di questa ricorrenza, regalano una rosa a chiunque acquisti un libro, come simbolo di una consuetudine medievale secondo cui ogni uomo, in questa giornata, debba donare una rosa alla propria donna. Ognuno di noi ha una ragione che lo spinge alla lettura, qualcuno di ragioni non ne trova nemmeno una. Leggere è comprendere un po’ il mondo come va: le vite che leggiamo sono quelle che ci passano dinanzi ogni giorno, le storie che ascoltiamo nella nostra lettura silenziosa sono un po’ anche le nostre storie. Nessuno narra nulla che non sia vita ed addentrarsi in un buon libro equivale a saperne qualcosa in più rispetto a quando si era alla pagina precedente di se stessi. Anche Il Vesuviano, come ha fatto negli scorsi anni, si fa promotore di rassegne culturali finalizzate alla presentazione di libri di autori del nostro territorio ed oltre. Salvatore Violante, Alfredo Ranieri e Amedeo Colella sono solo alcuni tra i nomi che saranno ospiti degli incontri letterari che avverranno prossimamente nella città di Terzigno, in date da definirsi.

 

 

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