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Salvatore De Chiara (Napoli, 1985), è uno scrittore, regista e giornalista campano. E’ laureato alla triennale in “Linguaggi Multimediali e Informatica Umanistica”, e nella magistrale in “Imprenditoria e creatività per Cinema, Teatro e Televisione.” Dal 2012 è iscritto all’Albo dei giornalisti Pubblicisti della regione Campania. Ha realizzato numerosi lungometraggi nell’arco della sua carriera e nel 2017 uscirà per la sua regia “Na Wave, documentario sul panorama musicale emergente partenopeo, essendo lui un musicista autodidatta – suona da autodidatta ed ha composto le soundtrack dei suoi lavori. Nello stesso anno esce Pandemonium, il suo romanzo d’esordio che ha deciso di presentare alla redazione del Vesuviano.it. con un’intervista. Salvatore si accomoda sulla sua sedia dopo aver bevuto un caffè. Le domande sono già pronte, è a suo agio con la copia del suo libro in mano. Dopo una serie di foto scattate per l’articolo e un paio di chiacchiere, si comincia. Prima domanda: raccontaci di te. «Salvatore De Chiara è un “ragazzotto” di trentadue anni cresciuto in una cittadina talmente problematica in quanto indifferente in tutto quello che sono stati i suoi percorsi professionali poiché ha deciso, a dieci anni, di fare cinema. Cerco di portare avanti la mia passione affinché diventi professione; è anche molto schivo… è difficile descriversi, odio farlo, però le certezze che posso affermare sono: appassionato, passionale per ciò che riguarda le sue passioni, sarcastico, cinico e buono. Voglio evitare dirmi scrittore e regista, perché voglio che la gente veda le cose che scrivo e dirigo così da rivedersi in quello che faccio. Sono una persona molto attenta.» E’ stato difficile emergere sul territorio campano? «Mi piace questa domanda. Molte persone ironicamente dicono “io ho l’amico famoso”; io non sono famoso, le persone che cercano di vivere con l’arte non diventano famose. Sono le cose che fanno a diventare famose e gli artisti non fanno altro che riflettere della luce del loro progetto. Io non sono ancora emerso perché non posso ancora comprare casa con il lavoro che faccio, però il libro è stato un incoraggiamento e mi ha introdotto commercialmente in questa professione e mi ha fatto introdurre geograficamente nella mia città. Farmi conoscere nella provincia casoriana non è stato complesso anche grazia alla non presenza di concorrenza, cosa che così non è stata per il confronto con il capoluogo, un po’ più complesso. A Napoli ci sono colleghi che ti rendono difficile emergere, dove c’è confusione e non c’è coesione e non c’è spirito di condivisione e di partecipazione. C’è molto protezionismo, bisognerebbe crescere lavorativamente come nella musica degli anni 70’ e coinvolgere anche gli altri che fanno il tuo mestiere.»; Sei poliedrico: prevale la penna o la telecamera? «Di base è una cosa che cerco di non dire perché è molto arrogante. Nasco cinema e muoio cinema. Tuttavia – e questo è il motivo per cui ho deciso di scrivere un libro – il regista va pensato come uno che ha sempre la penna in mano, ed è anche uno sceneggiatore, che scrive delle storie. E’ tutto collegato!, cambiano solo dei dettagli tecnici. Si ricollega tutto. Sono persone che raccontano storie. Siamo venditori e narratori storie. Per campare diamo possibilità alle persone di intrattenere il loro tempo libero con delle storie. Ti rendi conto che siete tutti la stessa grande famiglia. Quindi… prevale la telecamera perché il cinema è parte della mia vita. Però sono equivalenti. »; Hai un rituale prima della scrittura? «L’unica forma mentis standard è quella delle scalette ma non ho un rituale in particolare, che mi aiuta a scrivere. L’unica cosa che mi voglio tenere stretta è un’abitudine: io amo scrivere appunti prima su carta. Non mi siedo davanti ad un computer per scrivere su word direttamente: non riesco a stare fermo su un computer. Infatti il libro che sto per presentare è stato scritto interamente su un quadernone.»; Pandemonium. Perché hai scelto questo titolo? « Il tema del libro nasce dalla rabbia e dalla confusione, ed il termine racchiudeva l’insieme di questi sentimenti. Anche se mi è stato d’aiuto, il mio essere stato un adolescente – e questo è un aneddoto carino – amante dei videogiochi, e Pandemonium è un videogioco della playstation degli anni 90’ che io adoravo, genere piattaforme, ed io ho sempre voluto scrivere qualcosa con questo nome. Appena ne ho avuto l’occasione, nonostante di solito non mi piaccia il citazionismo, l’ho utilizzato.»; Parlaci del libro. « Pandemonium, come già detto, nasce dalla rabbia che a sua volta spuntò a fine 2014 in un momento un po’ di frustrazione quando alcune cose non andavano molto bene; a livello professionale avevo fatto delle cose interessanti, avevo lanciato un corto a cui sono molto legato e ho scritto un romanzo che poi mi è stato ignorato dalle case editrici. Non riuscivo a capire cosa mi andava male. Anche nel privato ho avuto delle situazioni spiacevoli, ci sono stati momenti di incomprensione, tutte cose che erano quadro di un momento – il romanzo non è autobiografico, precisiamo – ho sentito il dovere di dovere di dover staccare da tutte quelle regole narrative che i corsi di scrittura ti impongono. Ero stanco di stare ad esse e mi sono dedicato a qualcosa di molto rapido ed immediato che arrivasse al pubblico in maniera diretta, e molto istintivo. Non volevo pensare troppo mentre scrivevo. Tra l’altro mi sono incitato in questa cosa perché volevo inviare il romanzo ad un concorso che si chiamava “Premio La Giara” della Rai, inviato e non preso. Dopo un anno e mezzo, una casa editrice lo ha preso in affetto e lo ha pubblicato. Lo spunto del libro è stato dato dall’aver visto i primi film del regista Mike Leigh, il quale utilizza il genere Slince of Life, e la sua naturalezza: egli raccontare fette di vita dove si analizzano molti dettagli della vita quotidiana, in modo tale da creare un ambiente più intimista, cosa che ho cercato di ricreare. La scansione del romanzo è divisa per mesi, è quella di un anno di vita di un aspirante musicista, che io ho chiamato Luigi per aver una nomenclatura universale anche all’estero, ho cercato qualcosa di identificabile ovunque; la vita di questo musicista è un viaggio di formazione, neo venticinquenne che si affaccia su una certa vita in quanto terminata la sua laurea e deve schivare le domande contrarie di chi gli è accanto perché, se decidi di fare musica, non è sempre facile. »; Perché hai scelto la vita universitaria come cornice, prima ed il precariato poi? «La vita universitaria è il nuovo “diploma”, tutto si è spostato sui ventotto ventinove anni dove un ragazzo consegue la laurea e lì arriva il vero precariato, dove non ci si può nascondere più nel guscio del “sono ancora studente”. Io ho vissuto sulla pelle certe sensazioni, comunque inserite nel romanzo trasformate in un racconto, ci ho messo molto di mio conscio di ciò che mi è successo dopo aver conseguito nel 2010 la laurea triennale: ho vissuto quattro mesi di “buio” in attesa di iniziare la magistrale dove non potevo far nulla se non qualche corso. Ero in stasi. Facevo l’animatore ma niente di più, non potevo prendere decisioni a lungo termine ed ero precario, era difficile e dovevo scegliere il mio percorso personale, ma era complesso. Non riesci a far capire agli altri che il percorso che stai facendo è serio, soprattutto perché in quel momento sei fermo e tutti credono che non stai facendo niente. Tra l’altro, ti fanno sentire il peso di un lavoro che non dovrebbe esserci; serve attenzione nella scelta lavorativa: spesso le persone si piangono troppo addosso senza creare occasioni. C’è il precariato del lavoro e lo studio che non da’ più nulla. La laurea diventa un momento di insicurezza, dunque, perché non si sa dopo cosa accadrà. E’ un momento particolare della vita ed è per questo che l’ho voluto raccontare. »; Nel libro parli di svalutazione di mestiere artistico. Cosa ne pensi? « Quando fai cinema o letteratura per le persone, stai perdendo tempo. Chi me lo viene a dire però quando torna a casa, guarda la televisione, legge il giornale, legge libri: tutte cose che non nascono dagli alberi ma vengono prodotte da persone. E’ un paradosso in cui non voglio vivere. Perché, se non sei un avvocato, o non sei un ingegnere, o altro, allora non è lavoro. C’è una svalutazione di alcuni mestieri perché sembrano una perdita di tempo nonostante i loro “frutti” vengano utilizzati quotidianamente! Tutti i giorni la creatività diventa lavoro. Perché non dovrebbe essere seria l’arte? E non dovrebbe essere apprezzata? Gli insegnamenti dovrebbero essere istituzionalizzati in maniera seria, cosa che invece non viene fatta perché, già dopo le medie, la musica viene tolta dall’insegnamento. I miei corsi di studi a Napoli sono stati cancellati nonostante la mia città abbia dato tanto per l’Arte al mondo!, l’Italia ha dato tanto prodotto culturale. »; Com’è il tuo rapporto con il lettore? «Il mio rapporto con i lettori è piacevoli perché ho molta risposta, mi dicono sui social “ti ringrazio per quello che fai”, per la tua passione che permette loro di vedere la realtà con una visione diversa. I lettori amano dare la loro risposta e anche i miei amici hanno dato i loro feedback positivi, quindi sono felice di aver avuto una risposta positivi. Io adoro avere dei feedback ed è giusto e doveroso sentire le voci di chi investe il proprio tempo e denaro per quello che fai; l’intrattenimento è una cosa importante, il minimo è sentire il lettore ed avere il riscontro. Adoro chiacchierare e sentire il lettore. Detesto la solitudine e la mancanza di conversazione. »; Cosa consigli ai giovani che vogliono intraprendere questa carriera? «I consigli che posso dare agli aspiranti scrittori sono cinque; il primo è pazienza. La pazienza è un dono, con chi ti umilia e sminuisce e nell’attesa di una risposta. Bisogna avere una sorta di paraocchi della pazienza che ti ricorda quello che vuoi fare e perché lo vuoi fare; Secondo, la costanza, perché devi creare sempre cose, senza fermarti e non concederti troppe pause ampie perché fermarsi non fa mai troppo bene alla creatività, l’inattività non deve esistere. Terzo, lo studio, deve essere lo studio che non hanno gli altri ma maggiore di essi. Si deve essere una spanna sopra la concorrenza in modo tale da essere sempre un passo in avanti, avere sempre una tecnica in più. Quarto, la capacità di non applicarsi molto – presa in prestito dai fratelli Manetti – sul che come girare, ma di cosa parlare, sul contenuto e non sul come parlarne. L’importante non è la grande tecnica ed i grandi mezzi, ma la storia, ciò che si vuole raccontare. Quinto, sensibilità maggiore degli altri. Fare le cose che altri non hanno fatto. Soluzione che gli altri non hanno scelto, più modesta, fare la pecora nera, cosa che aiuta molto.»; Dove possiamo trovare il tuo libro? «Voglio ringraziare Lettere Animate Editore e all’epoca la figura di Roberto Incagnoli, che era a capo della casa editrice quando mi ha fatto la proposta commerciale di pubblicazione. Devo molto a queste due realtà, il mio romanzo non si trova sugli scaffali ma in digitale, può essere stampato ovunque, è prenotabile ovunque in qualsiasi libreria, è presente su Amazon, IBS e in ebook. »; Ci saranno altri incontri promozionali? « Il prossimo incontro commerciale sarà il 28 Dicembre a Cava de Tirreni, presso il Bistrot Libreria Rodaviva, sicuramente ce ne saranno altre che sto chiudendo e sviluppando al Comero, e fuori dalla Campania: a Roma, Teramo, Milano, Bologna e alla Cittadella di Casoria. Un grazie speciale alla redazione del Vesuviano che mi ha concesso questa splendida intervista. Siete stati gentilissimi e fantastici.»;
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Torna puntuale il concorso di poesia "Vesuvio" come da tradizione, l'associazione teatrale "i giovani della piazza" sapientemente diretta da Nando Zanga, ha lanciato il nuovo bando di partecipazione al concorso di poesia (e non solo) "Vesuvio". il bando di partecipazione, disponibile in questa pagina, oltre alle classiche categorie in lingua napoletana ed in lingua italiana, quest'anno presenta anche le sezioni "arti figurative" (scatti ed immagini dal parco nazionale del Vesuvio) e la sezione "idee innovative" , proposte per la tua città. Gli elaborati dovranno pervenire all'indirozzo : Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. entro e non oltre il 30 dicembre 2017 mentre il concorso è in calendario per il prossimo 24 marzo 2018 nella sala consiliare del comune di Terzigno.

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Angelo Palatucci, lo scrittore "nato" due volte

Mercoledì, 19 Luglio 2017 12:31 Scritto da
Questo mese incontro lo scrittore salernitano, Angelo Palatucci, la cui storia mi ha letteralmente emozionato. E’ un ausiliare del traffico della città di Salerno, è sposato con due splendidi bambini e quando può dedica il suo tempo libero alle fasce più bisognose. Il 25 febbraio 2003 a Padova, il tuo papà ti ha donato il rene, qual è il tuo rapporto dopo l’intervento fra padre e figlio? Il rapporto dopo l’intervento con mio padre, si è ancor di più fortificato, lui per ben due volte mi ha donato la vita. Il tuo rapporto con Dio? Credo in Dio, Lui la vita mi ha donato, ed io gli sarò eternamente grato. Che cosa rappresenta per te la “ libertà”? Per me poter essere libero, vuol dire essere vivo e poter vivere la vita a tutti i costi! Dove nasce il dottor Cresta di GALLO? Il Dottor Cresta di Gallo nasce da un guanto in lattice da sala operatoria. Da piccolo al mio primo intervento chirurgico, in sala operatoria, una dottoressa, prima che l’anestesia facesse effetto, lo gonfiò, lo annodò in modo tale da evitare che l’aria fuoriuscisse, lo capovolse e mi giocò, dicendomi che quel guanto era magico e si era trasformato in una cresta di gallo. Il tuo rapporto con i “ camici bianchi”? Che dirti, da piccino, nessuno vorrebbe vivere negli ospedali, nessuno vorrebbe inebriarsi dell’odore di farmaci e di disinfettante, nessuno vorrebbe vivere tra le quattro mura di una stanza o affrontare interminabili attese in quegli angusti corridoi. Nessun bimbo dovrebbe poter vivere questa ingiusta sorte, in fondo negli ospedali si nasce, ma purtroppo ancora oggi questo accade! A me, fortuna che è toccato nascere, un po’ meno il viverci, ma nonostante tutto, oggi a quarant’anni, non posso che esser grato a quei camici bianchi, ed è grazie anche a loro che io sia ancora parte di questo mondo! L’incontro con Emmanuela, la co-autrice del libro: Incontrai Emmanuela a un Galà di Poesia a Rende (CS), ero tra i premiati e lei in platea. Ero sul palco a declamare la mia poesia “Amando”, quando lei fu letteralmente rapita dai miei versi, associandoli a una poesia dedicatale in gioventù, da un suo amico, che purtroppo da anni non c’è più. Alla fine della serata ci siamo presentati e da lì con il tempo raccontati. I sogni aiutano a crescere, a vivere, quanto ti ha aiutato il tuo sogno? In realtà da piccoli, sono tanti i sogni che ogni bimbo fa... e spesso, nella speranza di poterli un giorno vedere realizzare, aiuta loro a non mollare mai! Ricordo che in una canzone di un noto cartone animato, si diceva che i sogni son desideri, infatti, è proprio così, non smettiamo mai di sognare. Chi è Angelo Palatucci oggi? Angelo oggi è un uomo, un marito, un padre, chissà, forse conserva un animo da bimbo. E forse è proprio per questo, che ancora oggi, resta legato a quelle strutture di pediatria e ai suoi piccoli ospiti, dove di tanto in tanto cerca di donargli dei piccoli sorrisi. Ѐ legato proprio a quei reparti, dove ti tolgono anche il respiro, dove ogni bimbo, vista la sua tenera età, è incapace di far sentire il proprio grido di dolore, il proprio disappunto. Angelo non ha mai dimenticato la sua mancata fanciullezza, i suoi sorrisi squarciati da una lacrima, le sue paure superate e vinte in quel letto di ospedale. No...nulla ha dimenticato...! Il tuo sogno nel cassetto? Sinceramente desidero solo che i miei bimbi e la mia famiglia possano vivere sereni. Che cosa racconterai “ domani” al tuo piccolino? Il mio domani sarà già oggi, parlo spesso con i bimbi e tra il quotidiano e le varie passioni, condividiamo molte cose. Provo a insegnargli ciò che per me è giusto, e spero di cuore di essere per loro una buona guida, semplicemente questo!Di una cosa sarei felice: desidererei che un giorno, i miei bimbi siano orgogliosi di me! Eccoci qua...siamo giunti alla conclusione, i tuoi ringraziamenti: "Ringrazio di cuore l’amico Nando Zanga, che mi ha dedicato parte del suo tempo e l’intera redazione de “ Il Vesuviano”. Ringrazio quanti leggeranno questi miei volatili pensieri. Ringrazio i tanti che si donano e donano agli altri senza pretendere nulla in cambio. Ringrazio la vita e ogni cosa che ha voluto donarmi.
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Terzigno, a Mimmo Jodice il leggio d'oro

Lunedì, 26 Giugno 2017 15:34 Scritto da
Si è tenuta domenica 18 giugno a Terzigno, presso il giardino del Centro studi “Xeniart”, denominato “il giardino dei sogni”, in occasione del ventennale dalla sua inaugurazione, la “Festa della cultura e dell’amicizia”. L’evento, dedicato ad Aldo Masullo e a Italo Calvino, è avvenuto con il Patrocinio della Regione Campania, del Comune di Terzigno e del Parco Nazionale del Vesuvio. Presenti diverse personalità del panorama culturale partenopeo. Saluti da parte di Colomba Iovino, Pres. “Xeniart” e del sindaco del Comune di Terzigno, Francesco Ranieri. La serata è stata accompagnata da brani musicali eseguiti dai maestri Fragnito (violino) e Ruggiero (pianoforte). A seguire è stato consegnato il Premio “Leggio d’Oro” VI Edizione 2017 al fotografo Mimmo Jodice.
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Come è ben noto l’Italia è, insieme a Spagna e Francia, fanalino di coda tra i Paesi dell’UE per la conoscenza della lingua inglese. Infatti solo il 13% dei nativi del Bel Paese parla correttamente ed in maniera fluente l’idioma di Sua Maestà, contro il 70% circa di danesi, olandesi e svedesi, il 62% degli austriaci ed il 54% dei tedeschi. Inoltre, anche se gli spagnoli e i francesi, per ciò che concerne la conoscenza dell’inglese, sono leggermente al di sotto degli italiani, superano quest’ultimi nella classifica relativa alla conoscenza di una lingua straniera in generale: infatti circa il 13% degli spagnoli ha una buona padronanza del francese (contro il 6% degli italiani) ed il 7% dei francesi parla mediocremente spagnolo (contro il 2% dei connazionali di Dante e Michelangelo Buonarroti). Ma c’è dell’altro: secondo un sondaggio di pochi anni fa, tra gli italiani che parlano in maniera ottimale la lingua d’Oltre Manica solo il 20% circa degli intervistati ha dichiarato di essere pervenuto a questo requisito grazie all’insegnamento ricevuto dalla Scuola dell’Obbligo, mentre la restante parte ha ammesso di essere stato costretto a rivolgersi a scuole private o addirittura a trasferirsi all’estero per acquisire dei livelli soddisfacenti di conoscenza della lingua. E’ chiaro dunque che la Scuola Pubblica italiana deve far molto di più per garantire agli studenti metodi e mezzi di apprendimento più funzionali ed incisivi, nonché al passo con le nuove esigenze antropologico-sociali e con le nuove richieste in ambito lavorativo. In tal senso è da lodare l’iniziativa promossa dal Comune di San Giuseppe Vesuviano la quale, con la collaborazione del Primo Circolo Didattico, ha promosso, presso l’istituto scolastico dei Rossilli, un progetto di potenziamento di lingua inglese e spagnola, che ha implementato e valorizzato il canonico iter didattico previsto dal Ministero dell’Istruzione. Mercoledì 31 maggio, nel succitato plesso, vi è stata la cerimonia di chiusura del corso formativo, presenziata dal sindaco Vincenzo Catapano, dal dirigente scolastico Maria Rosaria Fornaro e dalle maestre tutte ove, agli scolari della scuola primaria e di quella dell’infanzia, accompagnati dai propri genitori, sono stati consegnati gli attestati di frequenza. Davvero un momento fulgido per la scuola dei Rossilli che, dopo la recente ristrutturazione, nella quale l’edificio è stato completamente riammodernato con una nuova pavimentazione, opere di tinteggiatura degli interni, installazione di nuovi infissi coibentanti termicamente, consolidamento dei solai e con il totale ammodernamento degli impianti energetici, ha avviato, per i piccoli discenti, un percorso educativo moderno e lungimirante.