Il regista Rocco Forte fa rivivere la strage di Derry in “Bogside Story”

Venerdì, 19 Ottobre 2018 16:41 Scritto da  Pubblicato in Tempo Libero Letto 606 volte
Rocco Forte è un giovane e promettente regista, autore del documentario “Bogside Story”. Cresciuto in un ambiente sereno e stimolante, circondato dall’affetto della famiglia e dei nonni, Ricky (questo il tenero nomignolo con il quale viene chiamato) sente il richiamo del cinema fin dalla tenera età. «Si spengono le luci, il tenue bagliore del proiettore si diffonde nel buio della sala e il classico e discreto rumore della pellicola che scorre nel proiettore (a quel tempo c’era ancora la pellicola!) è l’ultima cosa che senti coscientemente prima che le immagini sullo schermo ti trasportino nella dimensione del sogno - ci racconta Forte - Fui così sopraffatto da quel rituale magico che avviene solo nel buio della sala cinematografica che alla fine della proiezione, uscendo dal Cinema Ciminelli di Castrovillari, dissi a me stesso: “Da grande farò il regista!”» Aveva appena visto “Jurassic Park” di Steven Spielberg (1993) insieme alla mamma. In seguito quel cinema divenne la sua seconda casa, insieme all’Atomic Cafè. Con il passare degli anni, la passione per la macchina da presa aumentò in maniera esponenziale anche grazie alla «professoressa Mariarita Lojelo», all’epoca insegnante di italiano alle scuole medie che influenzò notevolmente il suo percorso di studi e di interessi. Dopo la maturità scientifica, Forte si trasferisce a Roma per affinare i suoi studi presso l’Università di Roma Tre, iscrivendosi al DAMS. Ripercorrendo le tappe della sua vita, arriviamo ad oggi. Lo intervistiamo all’indomani dell’uscita della sua pellicola e dopo la partecipazione alla trasmissione Cinematografo di Gigi Marzullo su RaiUno. Da dove nasce l’idea di utilizzare la forma del documentario in “Bogside Story” e perché la scelta di raccontare la strage di Derry, Irlanda del Nord, del 30 gennaio 1972? Diciamo che come opera prima non ho scelto un tema proprio semplice. In “Bogside Story” non raccontiamo solo la strage di Derry ma raccontiamo i principali eventi che hanno caratterizzato il cosiddetto periodo dei “Troubles” e lo facciamo partendo dall’arte, da quei meravigliosi murales che decorano il Bogside di Derry realizzati da Tom e William Kelly e Kevin Hasson, meglio conosciuti come The Bogside Artists. L’idea di utilizzare la forma del documentario ha principalmente due ragioni, una legata ad aspetti tecnici e l’altra legata ai contenuti della storia, anzi delle storie. Fare cinema indipendente è molto difficile. Il documentario ti permette di abbattere o contenere alcuni costi del budget, soprattutto i costi sopra la linea se, come nel nostro caso, si è disposti a lavorare senza percepire compenso perché si è deciso di sposare una causa. Inoltre ti permette una troupe leggera pronta a filmare quei momenti inaspettati, non previsti, che il reale ti mette davanti all’occhio della telecamera. L’altra e più importante ragione è che non vedevo altra forma più adatta del documentario per raccontare una storia vera. Non ci sono artifici, non c’è fiction perché non avrebbe avuto alcun senso recitare o simulare. Non ci sono virtuosismi perché sono i murales, le persone che hanno vissuto gli eventi, le loro testimonianze, i loro volti ad emozionare lo spettatore. I murales realizzati dai The Bogside Artists lungo il quartiere omonimo, a maggioranza cattolica, hanno una grande forza evocativa. Il connubio cinema/arte si conferma ancora come il mezzo più incisivo per raccontare una storia? L’arte in generale è il mezzo più potente che si possa avere a disposizione se si vuole comunicare qualcosa suscitando delle emozioni, che è poi quello che è successo ammirando i murales nel Bogside. Tutto nasce da lì. Quando mi sono trovato al cospetto di questi giganteschi murales fui estremamente affascinato dalla loro bellezza estetica e dalla loro potenza evocativa da volerne sapere di più, scavare più a fondo. Così è nato Bogside Story, un documentario dove si parla anche di arte attraverso la street art dei Bogside Artists e la fotografia, di Fulvio Grimaldi, due arti devote a tramandare la memoria, che trovano la loro sintesi nell’arte cinematografica, la quale per sua stessa natura è il mezzo più incisivo per raccontare una storia in quanto stimola nello stesso momento più sensi nello spettatore grazie alle immagini in movimento, ai suoni e alle musiche, e questo facilita il coinvolgimento emotivo. Inoltre il cinema e gli audiovisivi potenzialmente possono raggiungere tutti gli angoli del mondo. La visibilità che ti consente il cinema ti permette di far conoscere una storia al maggior numero di persone possibile. Questo è stato sin dall’inizio l’intento di Bogside Story. I Bogside Artists, Father Edward Daly, il premio Nobel John Hume, Michelle Walker, Betty Walker, Linda Nash, The Bloody Irish Boys che firmano la musica e soprattutto Fulvio Grimaldi hanno regalato una loro testimonianza significativa. Quanto è stato emozionante dirigere Grimaldi che quei fatti li ha raccontati e fotografati 46 anni fa? Sono immensamente riconoscente a tutti i protagonisti che hai citato non solo per aver accettato di partecipare a questo progetto ma principalmente per la grande esperienza di vita e le emozioni che mi hanno regalato durante le riprese e anche nella loro quotidianità. I racconti, gli aneddoti, vivere con loro ci ha fatto diventare amici. Oltre questo Fulvio è stato anche un maestro dal quale rubare i trucchi del mestiere. Una persona squisita, disponibile e altamente professionale. Sono stato a Derry molte volte ma ripercorrere Rossville Street, il Free Derry Corner e tutti i 12 murales che compongono la People’s Gallery ha avuto un sapore diverso. Vedere Fulvio commuoversi davanti al monumento in memoria delle vittime del massacro del Bloody Sunday ha fatto commuovere anche me. «How long, how long must we sing this song?» cantavano gli U2 nel 1982 ricordando il Sunday Bloody Sunday. Ad oggi, si muore ancora per difendere i diritti civili? Sicuramente nelle zone più difficili del mondo, nelle aree di conflitto, si muore ancora per difendere i diritti civili ma di questo non si parla tanto e quando lo si fa, il più delle volte la narrazione mainstream è errata, superficiale, viziata. Per questo il cinema indipendente e in particolare la forma del documentario ricoprono un ruolo fondamentale in quanto hanno il coraggio di raccontare storie scomode. Oggi in Irlanda del Nord non si muore più per difendere i diritti civili ma si patiscono ancora le sofferenze scaturite da tre decenni di conflitto. Derry è sicuramente la città che ha pagato il dazio maggiore e la comunità Cattolica della città lotta instancabilmente da quasi mezzo secolo per ottenere giustizia. Nonostante questa pace apparente, questa convivenza forzata, sono molte le iniziative in cui le due comunità lavorano insieme all’insegna della solidarietà e della comunione ma si tratta di progetti che nascono dal basso, non c’è una concreta volontà politica di abbattere le divisioni e le forti disuguaglianze sociali tra la due comunità. Inoltre, oggi, come conseguenza della Brexit, si sente parlare addirittura di ripristino del confine tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord a dimostrazione del fatto che il conflitto nordirlandese sia ancora una questione aperta. La sua troupe di lavoro è composta per la maggior parte da ragazzi provenienti dall’hinterland cosentino, come mai questa volontà? È proprio così: Bogside Story rappresenta anche un piccolo orgoglio calabrese perché è stato realizzato interamente da professionalità calabresi che prima di essere colleghi sono amici. Pietro Laino è un ragazzo di Tortora che ho conosciuto all’università e con il quale ho lavorato nel corso degli anni e ho vissuto esperienze indimenticabili che ci hanno legato sul piano umano. Pietro con molti sacrifici e molto coraggio ha creato la Megapixell una casa di produzione indipendente che è ormai una realtà consolidata nel panorama romano. Pietro ha una preparazione e una conoscenza di tutti gli aspetti tecnici del mezzo cinematografico davvero invidiabile. Insieme abbiamo prodotto e realizzato Bogside Story con la collaborazione di Luca De Francesco, anche lui di Tortora, che ha curato l’audio di Bogside Story facendo un lavoro straordinario e last but not least di Francesco Abonante di Cosenza. Francesco è uno sceneggiatore eccezionale. La sua presenza è stata determinante per Bogside Story. In conclusione cito e ringrazio anche mia sorella Elena che ha realizzato la locandina del film. Quali sono i Maestri che l’hanno maggiormente affascinata e dai quali ha tratto ispirazione? Sono stato e sarò prima di tutto uno spettatore di cinema. Sono cresciuto con il cinema americano di genere apprezzando i registi della New Hollywood come Steven Spielberg, Martin Scorsese e in seguito entusiasmandomi per Quentin Tarantino, passando per i fratelli Cohen, fino a lasciarmi travolgere dall’onirismo esasperato del maestro David Lynch. L’università mi ha consentito di ampliare i miei orizzonti permettendomi di riscoprire i grandi Maestri del cinema italiano come Fellini, Rossellini, De Sica, Antonioni e di scoprire nuove cinematografie per me attraverso autori come Renoir, Bergman, Truffaut, Hithcock e tanti altri. Per quanto riguarda il documentario invece voglio citare il Maestro Vittorio De Seta dal quale ho attinto durante la preparazione di Bogside Story. I suoi prossimi progetti… La realizzazione di Bogside Story ha rappresentato per me la realizzazione di un sogno ma questo non mi ha affatto sentire appagato. Proprio in concomitanza dell’uscita di Bogside Story nelle sale sto lavorando al mio prossimo progetto che sarà nuovamente ambientato su di un’isola, solo che questa volta si trova nei mari del sud, e che vedrà come protagonista una donna che fugge da un terribile passato. Il resto lo saprete vedendo il film.